di Patrizia Valduga
uno spettacolo di Valter Malosti
con Federica Fracassi
suono e programmazione luci G.u.p. Alcaro
costumi Federica Genovesi
scelte musicali, luci, spazio scenico Valter Malosti
musiche voci e suoni G.U.P. Alcaro, Ludwig Van Beethoven, Carmelo Bene, Uri Caine, Enrico Caruso, CCCP, Leonardo Maria Cognetti, Gabriele D’Annunzio, Filippo Del Corno, Giovanni Lindo Ferretti, Christoph Willibald Gluck, Hélène Grimaud, Vincenzo La Scola, Franz Liszt, BJ Nilsen, Portsmouth Sinfonia, Akira Rabelais, Fausto Romitelli, Richard Strauss, Francesco Paolo Tosti, Richard Wagner, Tom Wallace, Chris Watson
una produzione Teatro di Dioniso / Residenza Multidisciplinare di Asti
in collaborazione con Teatro i / Festival delle Colline Torinesi
nomination premio UBU 2010 a Federica Fracassi come miglior attrice protagonista
Valter Malosti dirige per la prima volta Federica Fracassi in un progetto comune. Corsia degli incurabili, pubblicato nel 1996, è un atto unico scritto in versi da Patrizia Valduga, una delle voci più significative della poesia contemporanea italiana.
Il/la monologante, un/una malata “terminale” giace in una stanza d’ospedale, immobile, e con determinazione lancia le sue parole che si fanno, di volta in volta, invettiva, scherno, preghiera, bisbiglio, confessione, provocazione, in un linguaggio che si nutre del rapporto-divario tra lingua alta e lingua bassa, “qui spinto fino ad impastare in una sola ipotesi tonale gli estremi del sublime e della più trita umiliante attualità: oggetto questa di uno sdegno di matrice dantesca che la Valduga usa anche per ridare un senso e dignità di vita a ciò che i nostri esausti tempi d’impostura tendono a non considerare vita.”
Ho immaginato un lavoro intimo e scabro. Una donna “soldato del dolore”, malata “terminale”, giace in una stanza d’ospedale, immobile, inchiodata su una sedia a rotelle, i capelli divenuti rampicanti; i muri scrostati e le poche luci si animano come esseri viventi, respirano, agonizzano, soffrono con lei. Con determinazione la donna lancia le sue parole che si fanno, di volta in volta, invettiva, desiderio, scherno, preghiera, bisbiglio, confessione, provocazione, accompagnata da una partitura sonora tesa e multiforme, una sorta di suono interiore emotivo e disturbato, che passa dalla natura rivisitata da Chris Watson, tocca le ultime sonate per pianoforte di Beethoven, Wagner e Tosti, si incendia con Fausto Romitelli e urla con Giovanni Lindo Ferretti.