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2012
CRASH TRŌADES
da Le Troiane di Euripide

 
 





un progetto di Giancarlo Cauteruccio

con Laura Bandelloni, Irene Barbugli, Martina Belloni, Debora Daddi, Martina Lino, Hitomi Ohki, Flavia Pezzo, Elisa Prosperi, Daniela Ranzetti, Maria Elena Romanazzi
operatori della scena
Lorenzo Bernini, Brando Nencini

regia Giancarlo Cauteruccio
scenografia Daniele Spisa
recitazione Fulvio Cauteruccio
drammaturgia Virginio Liberti
canto Monica Benvenuti
coreografia Patrizia De Bari
costumi Massimo Bevilacqua
luci Loris Giancola
musiche originali Marco Puccini
video Alessio Bianciardi
suono Marco Cardone


Dopo un lungo esercizio di confronto con le specificità di identità urbane e di relazione con il territoriodella Toscana, CRASH TRŌADES entra nella scena del teatro. Le peculiarità e le problematiche che hanno caratterizzato le due tappe precedenti -il centro storico di San Gimignano e l’area industriale delle acciaierie di Piombino- giungono alla sintesi. L’architettura iniziale del progetto si confronta ora con l’area metropolitana fiorentina, insinuandosi, attraverso nuove modalità sceniche, nel particolare spazio del Teatro Studio di Scandicci, probabilmente il più urbano fra i teatri. Il passaggio in teatro, con il venire meno della monumentalità degli spazi aperti, fa sì che lo spettacolo evolva in una nuova forma, che conserva la memoria maturata attraverso le varie fasi, e si presenta più compatta, concentrandosi sui corpi e sulle parole delle interpreti che agiscono su una scena vibrante per le forti connotazioni contemporanee.
CRASH TRŌADES è ispirato a “Le Troiane” di Euripide che, nel repertorio del teatro greco, è la tragedia meno classica, in un certo senso rivoluzionaria. Pur svolgendosi canonicamente nel rispetto delle tre unità aristoteliche (tempo, luogo e azione), qui tutto è già avvenuto, la città è caduta, le vittime sono quasi tutte morte e gli dei si limitano ad annunciare la propria presenza in un prologo, per poi abbandonare la scena definitivamente. In questo lungo day after rimane una dolentissima umanità di donne, con al centro la regina Ecuba che piange i propri morti e dialoga con le figlie, con le spose ormai vedove dei figli, alla ricerca di una ragione, di un pensiero che tenga ancora insieme il mondo. Nella tessitura drammaturgica del lavoro si innestano le storie di altre tragedie, attraverso la parola di due donne, due autrici contemporanee che hanno avuto la forza e il coraggio di raccontare l’insensatezza della guerra e della sopraffazione: il massacro dei Tutsi nel Rwanda narrato da Yolande Mukagasana in “Le ferite del silenzio”, e la Cecenia cui ha dato voce Anna Politkovskaja, pagando ogni giorno, fino alla fine, un prezzo altissimo. Questo ponte lanciato tra i secoli, tra il mito e la realtà, ci rende tristemente consapevoli del fatto che Troia continuerà a subire assedi, in altri luoghi e in altri tempi e sotto altri nomi, e per ragioni anche più vili di una moglie rapita.
Sappiamo che le parole di Cassandra e Andromaca si ripetono e si ripeteranno.
Nella scena del teatro l’affondo della regia si fa più certo, e più doloroso, sulla testimonianza sensibile dei personaggi, interpretati dalle dieci giovani artiste del progetto. La recitazione si avvicina a un tono quotidiano e a tratti echeggia la monotonia ossessiva di un bollettino militare, o di una preghiera tantrica.
Più vicine al pubblico, le attrici, le cantanti e le danzatrici possono spogliarsi della dimensione eroica che esprimevano nei luoghi urbani; le loro ferite spirituali diventano quasi visibili, le bruciature sui loro abiti sono ancora fumanti. Come se dal mondo omerico a oggi il tempo avesse fatto solo una velocissima corsa.
I nomi dei personaggi si confondono con quelli delle autrici contemporanee in un disegno scenico che raduna in un’unica arena, in un solo campo profughi, in una sola trincea il pubblico e le interpreti.
La scena si fonda su dati elementari: l’acqua, la terra, il fuoco, veri e propri elementi drammaturgici che connotano l’azione e le conferiscono il peso della materia, e tutta l’inevitabilità della realtà. Le due grandi sculture, realizzate con materiali industriali, che delimitano e fanno sconfinare lo spazio, diventano quasi una metafora di un continuo capovolgersi tra l’ordine e il caos, ribadendo ancora una volta la circolarità delle vicende umane.
CRASH TRŌADES è il mondo di Ecuba e delle donne troiane visto con la filigrana dell’emergenza contemporanea, una tragedia che odora di napalm e viaggia sul web, cruda come la poesia non è mai stata. Ecco le ragioni del titolo: il greco antico e lapidario di TRŌADES viene illuminato dai riflessi dei catarifrangenti organici di James Ballard, da quello che resta di “Crash”, dell’incidente (o forse dalla co- incidenza) fertile e inquietante tra la natura umana e la sua metamorfosi, oltre le rivoluzioni postmoderne.
È per questo motivo che CRASH TRŌADES chiama in azione le tecnologie, che con vera consapevolezza linguistica, applichiamo al teatro. L’innesto tra i testi e gli attraversamenti delle immagini, delle sonorità, del canto trascinato fino a diventare rumore, perviene a una trattazione della materia tragica che supera pathos e sentimentalismi.

Crash Trōades è il risultato del percorso formativo TU - TEATRO URBANO leggi il progetto