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2007
MEDEA E LA LUNA
LUNGA NOTTE DI MEDEA
di Corrado Alvaro
 





con Patrizia Zappa Mulas
e con Fulvio Cauteruccio, Giancarlo Cauteruccio, Peppe Voltarelli Laura Marchianò, Rosalba di Girolamo
musiche originali Peppe Voltarelli eseguite dal vivo da Raffaele Brancati, Gennaro De Rosa, Luca Marino
oggetti scenici Loris Giancola
costumi Massimo Bevilacqua
progetto luci Trui Malten
video Andrea Montagnani
fonica Marco Grecomoro
regia Giancarlo Cauteruccio una produzione
Compagnia teatrale Krypton
Magna Grecia Teatro Festival
Assessorato alla Cultura - Regione Calabria
MiBAC – Dipartimento dello Spettacolo
Regione Toscana
Scandicci Cultura
Comune di Firenze
in collaborazione con
Fondazione Teatro Metastasio di Prato
Fondazione Corrado Alvaro, San Luca, Reggio Calabria

Medea e la luna, Lunga notte di Medea, prodotto da Compagnia teatrale Krypton, Magna Grecia Teatro Festival, Assessorato alla Cultura della Regione Calabria, in collaborazione con Fondazione Teatro Metastasio di Prato e Fondazione Corrado Alvaro - San Luca RC, nasce come omaggio a Corrado Alvaro, fine intellettuale e scrittore nato a San Luca d’Aspromonte (RC). “Lunga notte di Medea”, tragedia in due atti, viene messa in scena per la prima volta al Teatro Nuovo di Milano da Tatiana Pavlova nel luglio del 1949. E’ un’opera che propone una eroina tragica nuova rispetto a quella creata da Euripide o immaginata successivamente da Grillparzer, in cui è possibile cogliere una spiazzante contemporaneità. Cauteruccio ne fa una riscrittura in cui le parti recitate si alternano e si compenetrano con parti cantate e sostenute da musiche originali in cui emergono sonorità ancestrali e quindi legate alla terra, alla memoria attraverso strumenti quali fisarmonica, tamburi e flauti che scandiscono i ritmi arcaici. Le musiche supportano una vocalità antica fatta di melodie semplici e profonde. Lo spettacolo ha proceduto per tappe, studi e approfondimenti, un vero e proprio work in progress che è approdato alla sua versione conclusiva a Prato in prima nazionale al Teatro Fabbricone con un grande successo di pubblico e stampa.

“Medea mi è apparsa un’antenata di tante donne che hanno subito una persecuzione razziale e di tante che, respinte dalla loro patria, vagano senza passaporto da nazione a nazione, popolano i campi di concentramento e o i campi di profughi. Secondo me, ella uccide i figli per non esporli alla tragedia del vagabondaggio, della persecuzione, della fame: estingue il seme di una maledizione sociale e di razza, li uccide in qualche modo per salvarli, in uno slancio di disperato amore materno.”
Corrado Alvaro

Immagino Corrado Alvaro mentre volge lo sguardo da San Luca d’Aspromonte verso il mare: lo Jonio, sul quale arrivarono i coloni provenienti dalla Locride, dal centro dell’Ellade, quei Greci che sulla nostra costa fondarono Lokroi Epizephyrii, la fulgida, una delle principali città della Magna Grecia. Immagino Alvaro osservare le donne di San Luca vestite di nero, sedute davanti all’uscio, con lo sguardo sempre rivolto all’interno delle case e la schiena verso la strada, scudo e custodi del focolare. Immagino la sua curiosità rapita dal mistero delle ‘magare’, le fattucchiere sapienti di poteri magici che le madri trasferiscono alle figlie la notte della vigilia di Natale, da sempre. Donne capaci di sanare compiendo ‘u sfascinu’, il rito che guarisce chi è stato ‘affascinatu’ dallo sguardo invidioso e cattivo della gente. Immagino Alvaro avvolto dalle nenie delle donne, dalle ammalianti ninna nanne, dai canti arcaici di contadini e pescatori, dai lamenti nelle processioni del Venerdì Santo. Immagino Alvaro nell’interminabile viaggio dalla Calabria verso il nord, un lungo scorrere di paesaggi sconosciuti per ritrovarsi estirpato dalla terra natia. Immagino un momento preciso della sua vita di scrittore, quando si rivela la necessità di tornare alla terra e al tempo del proprio mito personale e segreto. Un ritorno che si svolge proprio attraverso quelle immagini, quei suoni e quelle distanze; e vedo me stesso, così come rivedo quelle immagini, riascolto quei canti, ripercorro quelle distanze, riconosco quel destino che, sia pure in tempi diversi, ci accomuna. Così come ci avvicina il 1956, l’anno in cui lui moriva e io nascevo nella stessa terra. La messa in scena di questo testo diviene per me un atto sentimentale, un viaggio introspettivo dentro il ricordo che è insieme pungente e armonioso, quel tempo perduto che risiede in ogni uomo. E l’emozione è ancora più forte, la passione più accesa, la tensione più dolorosa, quando penso che lo spettacolo è nato proprio tra le rovine, dove un tempo fu la grandezza della Magna Grecia: i siti archeologici della Calabria, ancora abitati dalle piante di cicuta di socratica memoria. “Lunga notte di Medea” è un momento speciale, quasi sacro, nel quale ho provato a recuperare le immagini, i suoni, le atmosfere e la lingua che per anni ho custodito dentro di me. Una ricchezza che adesso riscopro con voluttà, e riverso sugli attori, sui musicisti, sullo spazio della scena, senza inibizioni, come un atto di amore e di dolore. Questa Medea che parla alla luna lo fa in una terra straniera, e Alvaro prima e io adesso siamo pienamente consapevoli del nostro essere stranieri, come forse ogni uomo lo è in questa ‘civiltà’ sterminata.
Giancarlo Cauteruccio

ESTRATTI DALLA RASSEGNA STAMPA

Non è certo una novità La lunga notte di Medea, scritta da Corrado Alvaro e già inscenata due volte da Maurizio Scaparro, con la Adani e poi con la Papas, una da Daniel Schmid con Piera Degli Esposti, nonché da Geppy Gleijeses con Mascia Musy. Ora Giancarlo Cauteruccio la cala appunto nella calabresità sua e dell’autore, chiedendo a Peppe Voltarelli di corredarla con intensi interventi da opera rock eseguiti e cantati in diretta, come già era accaduto con Roccu u stortu, in alternanza ai lunghi monologhi auto persuasivi risonanti nell’enorme cavea scenica del Fabbricone pratese, coperta da grandi teli, che si verticalizzano su un fondo argenteo pullulante di visioni, a cominciare da quella della luna a cui si rivolge all’inizio la protagonista, giustificando il nuovo titolo dato alla pièce, Medea e la luna. Alvaro rinnova la tradizione conducendo al mitica eroina in una Corinto prossima al meridione a lui caro e al nostro tempo. Ed ecco il pallore malato di una Patrizia Zappa Mulas tremendamente cosciente, terrea sotto il rosso della fan chioma e della veste, conferire alla sua esasperata Medea l’immagine di un’immigrata appassita ma indomita che, sepolte le origini regali, si dispera per il futuro suo e dei suoi, ossessionata dalle angherie crudeli a cui vanno incontro i suoi piccoli e costretta a scegliere una soluzione disperata, precedendo le manovre del Giasone opportunista di Fulvio Cauteruccio e le decisioni politiche del Creonte di Paolo Lorimer.
Franco Quadri – La Repubblica – 7 maggio 2007

La luna inonda di luce una scena nuda in cui Medea, ignara del futuro che l’attende, vive ancora istanti di (pur se tormentata) felicità. Siamo al Fabbricone di Prato, dove Giancarlo Cauteruccio ha presentato in prima nazionale Medea e la luna, tratto dalla riscrittura di Euripide di sapore mediterraneo in cui si cimentò Corrado Alvaro a fine anni 40. Cauteruccio, che nel suo essere calabrese avverte in qualche modo un testimone passatogli da Alvaro (è fatalmente nato, precisa, nell’anno in cui scompariva il drammaturgo), dopo uno studio che vide addirittura Irene Papas nei panni dell’eroina chiede ora a Patrizia Zappa Mulas di dar vita a questo personaggio sfrondato da ogni eccesso e prepotentemente moderno (l’accostamento agli esiliati, agli stranieri non integrati, ai diversi non necessita di forzature, emerge con naturalezza dai dialoghi). Ecco dunque pochi ed essenziali personaggi, oltre alla Zappa Mulas il potente Giasone di Fulvio Cauteruccio (il migliore in scena) e il più misurato Creonte di Paolo Lorimer, contornati da cinque musicisti sistemati intorno alla scena come in un’irreale rosa dei venti. A loro il compito di fornire il prezioso contrappunto alle parole, attingendo ai canti della tradizione popolare calabrese riscritti da Peppe Voltarelli. In un gioco che quasi diviene teatro nel teatro, personaggi e comprimari sono seduti vis-à-vis al pubblico, in uno spicchio di platea ricavato ricavato in fondo alla scena. Postazione dalla quale si allontanano per recitare i loro ruoli, entrando nell’arena circondata da pedane rialzate ad altezze diverse in apparente disordine. Cauteruccio è riuscito a costruire un impianto scenico che calza al testo come un guanto, non rinunciando alle proiezioni (simboli della Grecia classica, minacciosi pugnali o innocenti volti di bambino) che sono quasi un biglietto da visita per il fondatore dei Krypton. Fino all’esplosione finale di rosso che macchia la scena, rompendone il bianco. Applausi convinti del numeroso pubblico.
Valentina Grazzini – L’Unità – 14 maggio 2007

Un’interpretazione ammaliante, avvolgente e strepitosa, quella di Patrizia Zappa Mulas nella Medea che Giancarlo Cauteruccio dei Krypton ha egregiamente messo in scena in prima nazionale al Teatro Fabbricone di Prato … Una scenografia perfetta. Un incastro avvolgente tra la tragedia euripidea e le musiche originali suonate con strumenti antichi e moderni da quattro eccezionali musicisti. Uno spettacolo davvero da non perdere… Gli agganci all’attualità sono evidenti e danno forza alla splendida pièce senza togliere nulla all’evocazione del passato…
David Fiesoli – Il Tirreno – 5 maggio 2007

…Lunga notte di Medea di Cauteruccio è uno spettacolo corale, in specie nell’uso (sono suonate dal vivo) e nella qualità delle musiche… Suggestive sono le due nero-vestite compagne di Medea, Laura Marchianò e Rosalba Di Girolamo ,e di convincente presenza Peppe Voltarelli, Paolo Lorimer e Fulvio Cauteruccio. Nella recitazione il timbro stilistico lo dà Patrizia Zappa Mulas, Medea: ella non si sottrae al furore quando necessario, né si nega allo spasimo e al dolore… La lunga notte è un dramma sulla fine del fascismo in cui, a torto o meno, la donna impedisce all’uomo di portare a compimento il suo piano. Si scontrano due opposte ragioni. A rigore, che la barbara ne abbia una umana e giusta è una contraddizione. Un’altra lo è che questa barbara, nello spettacolo di Cauteruccio, si esprima ragionevolmente. Ma sono contraddizioni che renderanno Alvaro più duraturo nella mia memoria.
Franco Cordelli – Il Corriere della Sera – 6 maggio 2007