con
Patrizia Zappa Mulas
e con Fulvio
Cauteruccio, Giancarlo Cauteruccio, Peppe Voltarelli
Laura Marchianò, Rosalba di Girolamo
musiche originali
Peppe Voltarelli eseguite
dal vivo da Raffaele Brancati, Gennaro De Rosa,
Luca Marino
oggetti scenici
Loris Giancola
costumi Massimo
Bevilacqua
progetto luci
Trui Malten
video Andrea
Montagnani
fonica Marco
Grecomoro
regia Giancarlo
Cauteruccio una
produzione
Compagnia teatrale Krypton
Magna Grecia Teatro Festival
Assessorato alla Cultura - Regione Calabria
MiBAC – Dipartimento dello Spettacolo
Regione Toscana
Scandicci Cultura
Comune di Firenze
in collaborazione con
Fondazione Teatro Metastasio di Prato
Fondazione Corrado Alvaro, San Luca, Reggio Calabria
Medea
e la luna, Lunga
notte di Medea, prodotto da Compagnia teatrale
Krypton, Magna Grecia Teatro Festival, Assessorato alla
Cultura della Regione Calabria, in collaborazione con
Fondazione Teatro Metastasio di Prato e Fondazione
Corrado Alvaro - San Luca RC, nasce come omaggio a Corrado
Alvaro, fine intellettuale e scrittore nato a
San Luca d’Aspromonte (RC). “Lunga
notte di Medea”, tragedia in due atti, viene
messa in scena per la prima volta al Teatro Nuovo di
Milano da Tatiana Pavlova nel luglio del 1949. E’
un’opera che propone una eroina tragica nuova rispetto a
quella creata da Euripide o immaginata successivamente
da Grillparzer, in cui è possibile cogliere una
spiazzante contemporaneità. Cauteruccio
ne fa una riscrittura in cui le parti recitate si
alternano e si compenetrano con parti cantate e
sostenute da musiche originali in cui emergono sonorità
ancestrali e quindi legate alla terra, alla memoria
attraverso strumenti quali fisarmonica, tamburi e flauti
che scandiscono i ritmi arcaici. Le musiche supportano
una vocalità antica fatta di melodie semplici e
profonde. Lo spettacolo ha proceduto per tappe, studi e
approfondimenti, un vero e proprio work in progress che
è approdato alla sua versione conclusiva a Prato in
prima nazionale al Teatro Fabbricone con un grande
successo di pubblico e stampa.
“Medea mi è apparsa
un’antenata di tante donne che hanno subito una
persecuzione razziale e di tante che, respinte dalla
loro patria, vagano senza passaporto da nazione a
nazione, popolano i campi di concentramento e o i
campi di profughi. Secondo me, ella uccide i figli per
non esporli alla tragedia del vagabondaggio, della
persecuzione, della fame: estingue il seme di una
maledizione sociale e di razza, li uccide in qualche
modo per salvarli, in uno slancio di disperato amore
materno.”
Corrado Alvaro
Immagino Corrado
Alvaro mentre volge lo sguardo da San Luca
d’Aspromonte verso il mare: lo Jonio, sul quale
arrivarono i coloni provenienti dalla Locride, dal
centro dell’Ellade, quei Greci che sulla nostra costa
fondarono Lokroi Epizephyrii, la fulgida, una delle
principali città della Magna Grecia. Immagino Alvaro
osservare le donne di San Luca vestite di nero, sedute
davanti all’uscio, con lo sguardo sempre rivolto
all’interno delle case e la schiena verso la strada,
scudo e custodi del focolare. Immagino la sua
curiosità rapita dal mistero delle ‘magare’, le
fattucchiere sapienti di poteri magici che le madri
trasferiscono alle figlie la notte della vigilia di
Natale, da sempre. Donne capaci di sanare compiendo ‘u
sfascinu’, il rito che guarisce chi è stato
‘affascinatu’ dallo sguardo invidioso e cattivo della
gente. Immagino Alvaro avvolto dalle nenie delle
donne, dalle ammalianti ninna nanne, dai canti arcaici
di contadini e pescatori, dai lamenti nelle
processioni del Venerdì Santo. Immagino Alvaro
nell’interminabile viaggio dalla Calabria verso il
nord, un lungo scorrere di paesaggi sconosciuti per
ritrovarsi estirpato dalla terra natia. Immagino un
momento preciso della sua vita di scrittore, quando si
rivela la necessità di tornare alla terra e al tempo
del proprio mito personale e segreto. Un ritorno che
si svolge proprio attraverso quelle immagini, quei
suoni e quelle distanze; e vedo me stesso, così come
rivedo quelle immagini, riascolto quei canti,
ripercorro quelle distanze, riconosco quel destino
che, sia pure in tempi diversi, ci accomuna. Così come
ci avvicina il 1956, l’anno in cui lui moriva e io
nascevo nella stessa terra. La messa in scena di
questo testo diviene per me un atto sentimentale, un
viaggio introspettivo dentro il ricordo che è insieme
pungente e armonioso, quel tempo perduto che risiede
in ogni uomo. E l’emozione è ancora più forte, la
passione più accesa, la tensione più dolorosa, quando
penso che lo spettacolo è nato proprio tra le rovine,
dove un tempo fu la grandezza della Magna Grecia: i
siti archeologici della Calabria, ancora abitati dalle
piante di cicuta di socratica memoria. “Lunga notte di
Medea” è un momento speciale, quasi sacro, nel quale
ho provato a recuperare le immagini, i suoni, le
atmosfere e la lingua che per anni ho custodito dentro
di me. Una ricchezza che adesso riscopro con voluttà,
e riverso sugli attori, sui musicisti, sullo spazio
della scena, senza inibizioni, come un atto di amore e
di dolore. Questa Medea che parla alla luna lo fa in
una terra straniera, e Alvaro prima e io adesso siamo
pienamente consapevoli del nostro essere stranieri,
come forse ogni uomo lo è in questa ‘civiltà’
sterminata.
Giancarlo Cauteruccio
ESTRATTI DALLA RASSEGNA
STAMPA
Non è certo una novità
La lunga notte di Medea, scritta da Corrado Alvaro e
già inscenata due volte da Maurizio Scaparro, con la
Adani e poi con la Papas, una da Daniel Schmid con
Piera Degli Esposti, nonché da Geppy Gleijeses con
Mascia Musy. Ora Giancarlo Cauteruccio la cala appunto
nella calabresità sua e dell’autore, chiedendo a Peppe
Voltarelli di corredarla con intensi interventi da
opera rock eseguiti e cantati in diretta, come già era
accaduto con Roccu u stortu, in alternanza ai lunghi
monologhi auto persuasivi risonanti nell’enorme cavea
scenica del Fabbricone pratese, coperta da grandi
teli, che si verticalizzano su un fondo argenteo
pullulante di visioni, a cominciare da quella della
luna a cui si rivolge all’inizio la protagonista,
giustificando il nuovo titolo dato alla pièce, Medea e
la luna. Alvaro rinnova la tradizione conducendo al
mitica eroina in una Corinto prossima al meridione a
lui caro e al nostro tempo. Ed ecco il pallore malato
di una Patrizia Zappa Mulas tremendamente cosciente,
terrea sotto il rosso della fan chioma e della veste,
conferire alla sua esasperata Medea l’immagine di
un’immigrata appassita ma indomita che, sepolte le
origini regali, si dispera per il futuro suo e dei
suoi, ossessionata dalle angherie crudeli a cui vanno
incontro i suoi piccoli e costretta a scegliere una
soluzione disperata, precedendo le manovre del Giasone
opportunista di Fulvio Cauteruccio e le decisioni
politiche del Creonte di Paolo Lorimer.
Franco Quadri – La
Repubblica – 7 maggio 2007
La luna inonda di luce
una scena nuda in cui Medea, ignara del futuro che
l’attende, vive ancora istanti di (pur se tormentata)
felicità. Siamo al Fabbricone di Prato, dove Giancarlo
Cauteruccio ha presentato in prima nazionale Medea e
la luna, tratto dalla riscrittura di Euripide di
sapore mediterraneo in cui si cimentò Corrado Alvaro a
fine anni 40. Cauteruccio, che nel suo essere
calabrese avverte in qualche modo un testimone
passatogli da Alvaro (è fatalmente nato, precisa,
nell’anno in cui scompariva il drammaturgo), dopo uno
studio che vide addirittura Irene Papas nei panni
dell’eroina chiede ora a Patrizia Zappa Mulas di dar
vita a questo personaggio sfrondato da ogni eccesso e
prepotentemente moderno (l’accostamento agli esiliati,
agli stranieri non integrati, ai diversi non necessita
di forzature, emerge con naturalezza dai dialoghi).
Ecco dunque pochi ed essenziali personaggi, oltre alla
Zappa Mulas il potente Giasone di Fulvio Cauteruccio
(il migliore in scena) e il più misurato Creonte di
Paolo Lorimer, contornati da cinque musicisti
sistemati intorno alla scena come in un’irreale rosa
dei venti. A loro il compito di fornire il prezioso
contrappunto alle parole, attingendo ai canti della
tradizione popolare calabrese riscritti da Peppe
Voltarelli. In un gioco che quasi diviene teatro nel
teatro, personaggi e comprimari sono seduti vis-à-vis
al pubblico, in uno spicchio di platea ricavato
ricavato in fondo alla scena. Postazione dalla quale
si allontanano per recitare i loro ruoli, entrando
nell’arena circondata da pedane rialzate ad altezze
diverse in apparente disordine. Cauteruccio è riuscito
a costruire un impianto scenico che calza al testo
come un guanto, non rinunciando alle proiezioni
(simboli della Grecia classica, minacciosi pugnali o
innocenti volti di bambino) che sono quasi un
biglietto da visita per il fondatore dei Krypton. Fino
all’esplosione finale di rosso che macchia la scena,
rompendone il bianco. Applausi convinti del numeroso
pubblico.
Valentina Grazzini –
L’Unità – 14 maggio 2007
Un’interpretazione
ammaliante, avvolgente e strepitosa, quella di
Patrizia Zappa Mulas nella Medea che Giancarlo
Cauteruccio dei Krypton ha egregiamente messo in scena
in prima nazionale al Teatro Fabbricone di Prato … Una
scenografia perfetta. Un incastro avvolgente tra la
tragedia euripidea e le musiche originali suonate con
strumenti antichi e moderni da quattro eccezionali
musicisti. Uno spettacolo davvero da non perdere… Gli
agganci all’attualità sono evidenti e danno forza alla
splendida pièce senza togliere nulla all’evocazione
del passato…
David Fiesoli – Il
Tirreno – 5 maggio 2007
…Lunga notte di Medea
di Cauteruccio è uno spettacolo corale, in specie
nell’uso (sono suonate dal vivo) e nella qualità delle
musiche… Suggestive sono le due nero-vestite compagne
di Medea, Laura Marchianò e Rosalba Di Girolamo ,e di
convincente presenza Peppe Voltarelli, Paolo Lorimer e
Fulvio Cauteruccio. Nella recitazione il timbro
stilistico lo dà Patrizia Zappa Mulas, Medea: ella non
si sottrae al furore quando necessario, né si nega
allo spasimo e al dolore… La lunga notte è un dramma
sulla fine del fascismo in cui, a torto o meno, la
donna impedisce all’uomo di portare a compimento il
suo piano. Si scontrano due opposte ragioni. A rigore,
che la barbara ne abbia una umana e giusta è una
contraddizione. Un’altra lo è che questa barbara,
nello spettacolo di Cauteruccio, si esprima
ragionevolmente. Ma sono contraddizioni che renderanno
Alvaro più duraturo nella mia memoria.
Franco Cordelli – Il
Corriere della Sera – 6 maggio 2007